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L’io esiste o non esiste? Meglio il Sé o l’Assenza del Sé?

Si fa un gran parlare, nella letteratura filosofica orientale e in generale nei contesti spirituali e di meditazione, di “io” come realtà illusoria non particolarmente nobile mentre l’ “assenza di un io” sembrerebbe contraddistinguere l’ invidiabile condizione di coloro che hanno conseguito un pregevole stato di liberazione interiore.

E gli equivoci fioccano come la neve, sopratutto tra gli occidentali che si confrontano con questi apparenti paradossi senza il dovuto inquadramento concettuale e linguistico rispetto alle diverse matrici culturali in gioco.

E’ molto facile cadere nei tranelli posti dalla prospettiva buddhista, o di altre tradizioni orientali, che quasi sempre denigrano  il nostro “piccolo “io/ego/sè” a favore di una più ampia, impersonale e sicuramente più affascinante dimensione pseudo-divina, vitalista, di immersione nella corrente o coscienza universale.

Ci pensa fortunatamento quel genio spirituale di Jack Kornfield a dissipare ogni dubbio sulla questione Se/NonSè/ nel suo libro “Cuore Saggio” che sto leggendo con immane soddisfazione.
A beneficio di tutti voglio riportare qui quei passaggi chiave del libro in cui il tema Sè vs Non Sè viene  illustrato, raccontato e sviscerato con maestria didattica incomparata.

La misteriosa illusione del Sè

“Sia la psicologia occidentale che quella buddhista riconoscono il bisogno di un sano sviluppo dell’io. In effetti da un punto di vista clinico occidentale non trovare una propria identità è considerato un problema. Di solito lo sviluppo di un sano senso di sé è un processo naturale.[…] Un senso di sé ben riscito è identificato dalla capacità centrale che Freud chiama “ego”  è una delle definizioni più importanti di salute mentale.

I testi di psicologia buddhista come il Visuddhimagga, descrivono un analogo sviluppo dell'”io”.[…]Dal più minuscolo degli organismi a forme di vita più complesse su su fino agli esseri umani, porre confini e percepire la separatezza sono esperienze universali. Il dono che ci fa la psicologia buddhista è portarci al passo successivo, ossia alla capacità evolutiva di vedere al di là di quell'”io” separato. L’io funzionale, perfino nel suo aspetto più sano, non è la nostra essenza.[…] La psicologia buddhista, a differenza della sua controparte occidentale, riconosce che il processo ordinario di sviluppo non finisce con l’acquisizione di un sé funzionale, ma a partire da esso offre una via verso la scoperta dell’assenza di sè. Ci mostra che il senso di sè si crea attimo per attimo, poi dissolve l’identificazione e mostra quell’apertura gioiosa che si trova al di là del sè.

Quando paragoniamo le due visioni del “sé”, quella della psicologia buddhista e quella della psicologia occidentale, il linguaggio può indurci in confusione. Per esempio, c’è un impiego dualistico del concetto psicologico di “ego”. Tecnicamente, nella psicologia occidentale il termine “ego” descrive un sano aspetto di capacità organizzativa della mente, mentre comunemente nel linguaggio spirituale, il termine “ego” ha una connotazione più negativa come nei composti “egoista” e “egocentrico”. Analogamente descrivendo l'”io” o “sé” troviamo una molteplicità di termini a volte spiazzante che spazia da una sana percezione di Sè  fino alla descrizione buddhista dell’assenza di un sé”

Da il Cuore Saggio di Jack Kornfield, Ed. Corbaccio

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