Durante la pandemia ho letto un sacco di libri e seguito diversi corsi online. Uno di questi in particolare ha cambiato radicalmente il mio modo di intendere il ruolo di genitore e il rapporto con i figli. In questo post voglio trasmetterti quel che credo di aver capito della faccenda.
L’autrice si chiama “Shefali Tsabary” , una psicoterapeuta di origine Indiana con un solido background di meditazione (Vipassana) e nel suo libro “Il genitore consapevole” propone una visione piuttosto rivoluzionaria, ma quantomai attuale, del Parenting (termine che non so rendere in italiano, se non come Genitorialità).
Al centro del “Conscious parenting” c’è infatti l’impegno a coltivare la capacità di vivere nel momento. Sviluppare questa “skill” consentirebbe infatti di aprire un portale verso la crescita personale e familiare.
Non importa cosa hai fatto fino a 10 minuti fa o 10 anni fa, importa solo come ti presenti qui ed ora davanti ai tuoi figli: ti presenti con la più alta energia/frequenza/vibrazione, che esprime abbondanza e sintonia ? O con una vibrazione bassa di scarsità, rimorso, colpa?
Per chi ha ascoltato qualche video di SadhGuru sulla famiglia, alcune idee non saranno nuove ma anzi suoneranno molto familiari. E proprio questo mi ha attratto da subito della visione di Shefali che ho trovato coerente con molte delle verità più profonde delle tradizioni spirituali.
E come per molti degli insegnamenti di natura spirituale, il grosso del lavoro è anche qui fatto per sottrazione, rimuovendo ciò che oscura e distorce la percezione delle cose: squarciare il velo di Maya, togliere la polvere per vederci chiaro, rimuovere le frizioni e le compulsioni per assaporare la libertà, e quelle robe là.
In questo senso ci sono almeno 7 grandi illusioni che Shefali si propone ambiziosamente di smantellare: credenze ormai inveterate nel sentire comune dei genitori dietro e oltre le quali si nasconde il tesoro di una relazione più sana, equilibrata e profonda con se stessi e quindi, con i propri figli.
Sommario
Ne siamo davvero sicuri?
Pensa un attimo al perchè hai deciso di avere dei figli. O per quali ragioni i tuoi genitori hanno voluto avere te come figlio/a.
La prima pillola amara da buttare giù è questa: facciamo i figli per noi stessi. Punto.
Abbiamo una serie di bisogni che contiamo di soddisfare grazie ai figli, delle agende piene di programmi e aspettative, e le teniamo ben nascoste.
Il lavoro “interiore” a cui è chiamato il genitore consapevole è di portarle alla luce, queste agende nascoste, toglierle dal buio in cui stanno da anni, negate e represse.
Per vedere chi sono veramente i nostri figli, per connetterci a loro, dobbiamo togliere di mezzo la nostra agenda “egoica”.
Ed è un atto di grande coraggio e coscienza, quello di riconoscere il peso dell’io nel nostro modo di educarli. Con questo non vogliamo certo sviluppare dei sensi di colpa per il modo in cui abbiamo finora riversato sui figli le nostre aspettative.
Il focus è sempre sul presente: partiamo dal presente perchè solo qui ed ora sta la
chiave.
Dato che il concepimento e la nascita avvengono su un piano totalmente naturale ed istintivo, siamo portati a credere che anche fare bene il genitore sia una cosa istintiva.
Nulla di più sbagliato. L’istinto applicato alla genitorialità ci porta fuori strada, è il contrario della consapevolezza.
E proprio questa erronea credenza porta molte madri a provare un senso di colpa e di vergogna per non essere all’altezza.
Fare il genitore è un mestiere che va appreso. Ogni figlio è diverso e va conosciuto nella sua unicità.
Shefali invita a smantellare questo paradigma secondo cui il genitore avrebbe una conoscenza innata in virtù della quale “sa sempre che cosa deve fare”.
Il parenting invece è un processo in continua evoluzione, che si dispiega momento per momento, senza essere mai “acquisito” una volta per tutte.
Il percorso del genitore diventa quindi un percorso non di conoscenza acquisita ma di “risveglio” progressivo dove si rende necessario un impegno alla crescita e trasformazione personale, momento per momento.
Non ci sono strategie, ricette e risposte preconfezionate che tengano: i figli cambiano ed evolvono continuamente per questo la capacità di vivere nel momento presente è così fondamentale.
Abbracciare questo nuovo paradigma solleva il genitore da quel carico di stress, ansia aspettative che da sempre gravano su di lui/lei. E quando quel fardello vene posato, ecco che lo sguardo con cui ci osserviamo come genitori diventa uno sguardo di compassione, perdono e “abbandono”… e i figli se ne accorgono.
Ad esempio sintonizzarsi in modo consapevole con i figli, è una pratica da coltivare quotidianamente che richiede di prendere consapevolezza di tutti gli schemi, i pattern che ereditiamo dal passato, dai nostri genitori e dai loro avi.
All’istinto sostituiamo allora l’intuito.
La chiave è sempre il focus sul momento presente ( no strategie, teorie etc..) e uno shift di priorità dal comportamento esteriore (cosa dice, come si comporta, è bravo o cattivo) alla percezione interiore, energetica di noi stessi e dei figli.
Questo è Il Mito più grande di tutti, in cui cascano tutti i genitori ed è anche il paradigma o schema di credenza forse più difficile da scardinare.
Volere che i proprio figli siano felici e abbiano successo nella vita, è il desiderio dominante della maggioranza dei genitori. I figli devono essere felici, devono riuscire al meglio a scuola prima e poi sul lavoro. Sembra un bisogno vitale, eppure proprio questo desiderio da parte dei genitori potrebbe essere il principale ostacolo all’effettiva felicità e riuscita dei figli nel mondo
Se vogliamo crescere dei figli come esseri sovrani di se stessi, dobbiamo analizzare e de-costruire i nostri desideri e bisogni di genitori.
Nel momento in cui diciamo “Io voglio lo stato X per mio figlio” stiamo esprimendo un nostro desiderio, che poco ha a che vedere con la realtà e i desideri dei nostri figli.
E se questo “volere lo stato X per mio figlio” implica, come implica nel 99% dei casi, che NON vogliamo lo stato di cose attuale, rifiutando il momento presente per come è qui ed ora, stiamo creando una sofferenza, una resistenza.
Questo passaggio è cruciale, perchè non significa diventare genitori permissivi ma di vedere le cose per quello che sono.
Quandi parliamo di felicità per i nostri figli, la stragrande maggioranza di genitori intende la mera “assenza di dolore e sofferenza”. Naturale come desiderio, ci mancherebbe, del resto chi vuole soffrire?
Ma è sostenibile un desiderio del genere? Possiamo pensare realmente di eliminare la sofferenza dalla vita di una persona? Il dolore è parte integrante della vita. Non c’è gioia senza sofferenza, come non ci sarebbe luce senza il buio.
L’idea e il desiderio di una vita senza dolore sono pura illusione
Ed è ciò che crea tanta ansia e frustrazione nei giovani, alla disperata ricerca di immortalare nei loro profili InstaGram le immagini della loro vita “perfetta” , della gioia perenne. Impresa destinata inevitabilmente al fallimento.
Perchè quindi, propone Shefali, non abbandoniamo qui ed ora ogni desiderio per i nostri figli? Cosa succedererebbe se lo facessimo ?
Se proprio vogliamo desiderare qualcosa per i nostri figli, auguriamoci che possano fare esperienza della vita nel momento presente, per come è.
Insegniamo che la vita è un viaggio, fatto di gioia e dolore, in modo che sappiano affrontare la vita nei suoi alti e bassi.
Tutti i momenti della vita sono degni, non solo quello “felici”.
La felicità è quindi un’ illusione, anche dannosa per la nostra crescita, (solo la vita nel momento presente è reale) e la vogliamo sostituire con l’esperienza della vita nel suo dispiegarsi adesso, che è l’unica cosa reale.
Si allenta così la pressione del “dover essere felici” per lasciare spazio ala gioia del momento presente.
Nessuno sa bene che cosa sia il successo veramente, eppure..Il successo dei nostri figli è l’altro grosso desiderio che tutti ci portiamo dietro come genitori.
Possiamo nasconderci dietro i termini “avere uno scopo” , “dare un significato” o “trovare se stessi” ma quello che vogliamo alla fine è che siano dei “vincitori” nella battaglia della vita, e che siano ricchi!
Crediamo che se arrivano primi nella gara della vita, non dovranno più soffrire…
Ma il successo non può essere definito da metriche così ristrette come sono quelle dettate esternamente dalla società: ricchezza, bellezza, appartenenza etc..
Legare il proprio senso di valore al raggiungimento di questi obiettivi significa assicurare ai nostri figli un destino di ansia, frustrazione depressione.
Vogliamo davvero insegnare ai nostri figli che la loro autostima, il loro valore come esseri umani dipende dal raggiungere determinati obiettivi? La vita è già completa in se stessa.
Non dobbiamo permettere che il senso di identità e valore dei nostri figli dipenda in qualche modo da fattori esterni.
Questo shift di paradigma, è ciò in cui consiste il passaggio dal paradigma tradizionale a quello del genitore consapevole
Vogliamo permettere ai nostri figli di comprendere che il loro valore come esseri umani e come vita NON dipende da fattori esterni.
Qui Shefali attinge a piene mani a discorsi sull’amore tipici delle tradizioni spirituali, ed è qui che la maggior parte dei genitori faranno più fatica a procedere nella lettura.
Distingue in sostanza tra l’amore “regolare” vissuto dalla maggior parte delle persone, che non è altro che una miscela di bisogni, aspettative e transazioni verso i figli, dall’amore incondizionato, consapevole e libero da attaccamenti e dipendenze di sorta.
Il primo tipo di amore è quello che genera paura, controllo e “neediness” o dipendenza.
La manifestazione per me più evidente di questo tipo di amore è quello che vedo spesso intercorrere tra i nonni e i nipoti. Tranne pochissime eccezioni, di cui sono per fortuna testimone in famiglia, la maggior parte dei nonni confonde l’amore per i nipoti con il
Tutti questi sono desideri dei nonni, hanno a che fare con loro, il loro senso di valore personale, e nulla hanno a che vedere con i bisogni e desideri dei nipoti. Ma guai a metterli di fronte allo scrutinio attento del proprio cosidetto amore per i nipoti.
Il secondo, più “trascendente”, è l’unico vero amore, che non ha agende nascoste o interessi personali in gioco, ma agisce nel puro interesse della persona “amata”.
Mentre scrivo queste parole, leggo la frase del giorno di Sadhguru che ribadisce il concetto con la sua proverbiale semplicità
E già leggo i commenti di chi intepreta questa visione dell’amore genitoriale come un incoraggiamenteo al “permissivismo”, al lasciare fare ai figli quel che gli pare. Lo shift di paradigma non è facile da cogliere in effetti, ed è ancora più difficile da mettere in pratica. Si presta invece molto bene a travisamenti di fondo: “Come posso amare mio figlio anche se fa le peggio cose? Questo vorrebbe dire incoraggiarlo a continuare sulla strada sbagliata !!”
E proprio da questi argomenti viene fuori la soggiacente natura “transazionale” dell’amore, come viene percepito comunemente. Il mio atteggiamento amorevole è funzionale ad un determinato risultato, serve insomma a incentivare la buona condotta (“fai i compiti, làvati, studia e onora le richieste dei genitori”) e a scoraggiare quella cattiva “non provocare tuo fratello, non stare troppo davanti al PC, non rubare”.
Che è il contrario esatto di quello che viene proposto da Shefali nel suo conscious parenting come da Sadhguru quando parla di “diventare una madre/padre per il mondo”: sentire la vita degli altri come parte della nostra stessa vita, indipendentemente da cosa viene fatto o non fatto nel mondo materiale.
E invece no, lo sforzo che viene richiesto qui non è quello di incoraggiare o scoraggiare determinati comportamenti.
La sfida per il genitore consapevole è quella di riconoscere la natura condizionata del proprio amore, e progressivamente sbarazzarsi degli strati di attaccamento e dipendenza fino a trovare la purezza della benevolenza cosciente, e della compassione.
Qui la natura spirituale della missione genitoriale viene fuori nel modo più dirompente, ma anche più lineare se ci pensiamo. Come potrebbe esserci una crescita spirituale al di fuori del contesto così pervasivo e onnipresente della vita familiare?
La società ha le idee molto chiare sulla differenza tra bambini cattivi e buoni.
Bambini bravi = obbedienti, fanno i compiti, gli piace studiare, seguono le regole, stanno zitti e fermi.
Ci vanno sentire potenti, forti, competenti, onniscenti, autorevoli e di avere controllo sulle loro vite.
Bambini cattivi = contestano l’autorità, rifiutano di obbedire, hanno le proprie opinioni sulle cose e non sono controllabili, non si conformano.
Ci fanno sentire senza controllo, ci fanno arrabbiare, sentire frustrati e li giudichiamo male per questo.
Quando abbiamo deciso di avere dei figli, non credevamo possibile che un giorno avrebbero potuto avere punti di vista e modi di fare in contrasto profondo con i nostri.
Eppure, proprio i figi “cattivi” sono quelli con il maggiore potenziale di “risveglio” per i genitori.
Costringono a vedere le cose da una prospettiva diversa e mettere in discussione l’ego.
Il motivo per cui si scontrano così tanto con noi, è proprio perchè vogliono distruggere la nostra agenda, le nostre aspettative, i nostri schemi.
E invece di applaudirli per la loro forza di volontà, noi genitori cosa facciamo? Ci adiriamo e li spingiamo via. Invece di allentare la presa del nostro potere, del nostro ego, cerchiamo di reprimere la loro ribellione.
I bravi bambini, come tali non pongono problemi, e lasciano l’ego intatto.
Quando i genitori ci privano della nostra autentica voce, con il controllo esercitato su di noi nell’infanzia, proviamo un senso di impotenza, di mancanza di identità. Cerchiamo continuamente una validazione esterna, approvazione e conferma, perchè siamo stati “scippati” della nostra sovranità interiore.
Quando cresciamo, questo senso di impotenza si trasforma nel desiderio di controllare a nostra volta i nostri figli, in una patetica giostra. Cercheremo delle relazioni in cui siamo controllati da altri, oppure dove controlliamo l’altro.
Perché?
Non conosciamo altro, è questo il modo in cui abbiamo imparato a relazionarci fin da piccoli!
Ora che sappiamo quanto tossico, pericoloso e dannoso sia questo desiderio di controllare i nostri figli, possiamo rimpiazzarlo con modi più consapevoli di fare.
Quello di cui hanno bisogno i nostri figi non è un genitore, ma una Guida Spirituale profondamente connessa, che li aiuti a scoprire chi sono , senza spingerli in una data strada.
Siamo si “care givers”, siamo si responsabili della loro sicurezza e delle condizioni materiali e sociali in cui vivono, ma non siamo i comandanti in capo. Siamo co-creatori delle condizioni che permettono loro di crescere e svilupparsi, lasciando a loro l’ultima parola sulla direzione del loro destino.
L’energia del “caregiver” è totalmente diversa da quelle del comandante in capo, ed è importante iniziare a coglierne le differenze gradualmente.
L’energia del caregiver è quella di un alleato e non di un controllore.
Il genitore come guda spirituale abilita i figli a prendere decisioni consapevoli da soli: prepara e spiana il terreno, o accende le luci dove serve, ma lascia che sia il figlio a percorrere la strada.
Rilasciamo quindi il desiderio di controllare, di gestire e di sapere tutto (molto difficile da fare perchè è come morire), ma quello che otteniamo in cambio è la possibilità per i nostri figli di scoprire la propria autentica voce interiore, che è il dono più prezioso che possiamo fare loro.
Questo include il lasciare loro il diritto di sbagliare, fallire e sbattere la testa contro un muro, che è tra l’altro il modo migliore per sviluppare resilienza e”tigna”.
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