Dire che c’è un “io” non risponde a verità. Dire che non c’è un “io” non risponde a verità. Allora che cosa risponde a verità? – Ajahn Chah
Dopo aver chiarito e dissipato a livello teorico ogni possibilità di equivoco sulla questione Sé e Assenza di Sé , è fondamentale fare esperienza in prima persona di cosa sia questo “io”, come si solidifichi in determinate circostanze o momenti della giornata, e come si indebolisca in altri.
Riuscire a notare queste sottili dinamiche interiori e il modo in cui condizionano il nostro quotidiano può mutare radicalmente la nostra esperienza e qualità di vita mentale durante la giornata. In particolare ho trovato estremamente utile applicare la seguente pratica (tratta da “Il Cuore Saggio” di Jack Kornfield) durante le ore della giornata generalmente più soggette a stress, cadute nell’identificazione, e allontanamento da se stessi: le ore di lavoro!
PRATICA: La creazione e dissoluzione del senso del Sè
La creazione di un “io” è un processo che si può osservare attimo per attimo. Sorge quando ci identifichiamo con alcune parti dell’esperienza che vivamo e le chiamiamo “io” o “mio”: il mio corpo, la mia personalità, le mie opinioni, le mie cose. Possiamo prendere consapevolezza della creazione e dissoluzione del sendo del sè. Possiamo vedere che effetto fa quando l’identificazione con l'”io” è forte, quando è debole, quando è assente.
Scegliti un giorno in cui studiare il senso dell'”io”.
Ogni mezz’ora verificalo e nota quanto sia robusto.
- In che momento della giornata ha la sua massima forza?
- In quale ruolo o situazione?
- Che effetto fa quando è forte? Come si sente il corpo?
- Come reagiscono gli altri a questo forte senso di sé?
- Che cosa succederebbe nella stessa situazione senza una forte identificazione con l'”io”?
Nota quando l’attaccamento all'”io” è tenue o assente.
- Si riduce quando ti rilassi o quando ti prepari per andare a letto?
- Com’e quando prendi alla leggera il tuo ruolo?
- Fa’ esperimenti sul prenderti cura delle situazioni senza prendere le cose tanto sul personale. Riesci a “funzionare” bene quando il senso dell'”io” non è tanto forte o addirittura è assente?
- Gioca con il senso dell'”io”: nota su quali idee, sensazioni, emozioni mantieni più salda la presa e ti identifichi; nota quali altre riesci a lasciar andare facilmente. Che effetto fa se le inverti, se lasci andare le più forti e ti identifichi nelle più deboli?
Prendi consapevolezza della mente comparativa.
- Vedi come sorge il senso dell'”io” quando ti paragoni agli altri.
- Che effetto fa aggrapparsi stretti a questa forma di “io”?
- Che effetto fa quando è assente?
- Poi nota quel che accade quando qualcuno ti critica: se qualcuno ti insulta o ti denigra, nota la forza del senso dell'”io”. Con identificazioni forti ti fai ansioso, irascibile, irritabile. Senza grandi identificazioni puoi ridere.
Infine prova a fingere che non ci sia alcun “io”. Lascia che tutte le esperienze siano come un sogno o un film, senza afferrarle nè prenderle sul serio; osserva come alleggerisce il cuore. Invece di essere la star del tuo stesso film, immagina di esserne il pubblico. Osserva come recitano tutti gli attori, compreso te stesso. Rilassati senza un senso dell’io e dimora in pace in presenza mentale. Vedi che aspetto ha la tua vita senza attaccamenti.
Da “il Cuore Saggio” di Jack Kornfield
Potresti raccontare quali sono state le tue scoperte eseguendo questo esercizio?
Mi colpisce questa frase: “Lascia che tutte le esperienze siano come un sogno o un film, senza afferrarle nè prenderle sul serio; osserva come alleggerisce il cuore.” E’ strano. Solitamente siamo abituati a pensare che appassionarsi alle cose e viverle da protagonista in modo pieno sia qualcosa che fa bene al cuore. O forse ho capito male?
Ciao AM 😉 ,
Non credo ci siano grosse “scoperte” da fare qui, quello che posso dirti è che ponendomi quelle domande nel corso di una giornata tipo (non lo chiamerei neppure un esercizio, giusto un monitoraggio di certi meccanismi psicologici) ho avuto occasione di notare come il senso dell’io sia qualcosa di concreto, che cambia a seconda dei contesti e delle situazioni. Tralaltro il suo accentuarsi va di norma a braccetto con stati di stress, mancanza di chiarezza e periodi di “overthinking/overanalysis” (vedi “ruminazione mentale”).
Se hai la fortuna di essere un tipo palesemente nevrotico come me, diventa forse più facile accorgersi di queste dinamiche. A me basta ad esempio ricevere segnali più o meno espliciti di aspettativa forte da parte di qualcuno (un parente, un amico o un “capo”) su di me, per sentire farsi quasi “palpabile” il senso dell’io.
Ma credo valga universalmente che il senso dell’io che puoi avere appena prima di addormentarti è decisamente più flebile/leggero di quello che puoi avere prima di una importante riunione di lavoro in cui sai che qualcuno vorrà farti a pezzi per qualche tua presunta mancanza, o viceversa…
Il bello di questo giochino è che finchè riesci a tenere sott’occhio queste dinamiche, la presa dell’io si allenta, e magari resti “distaccato” nel senso sano di non-identificato, non-contrito nel tuo ruolo, anche nel mezzo della tempesta. Appena smetti e cala l’attenzione, sei fottuto.
La frase che ti lascia perplesso (anche a me non convinceva molto sulle prime), credo vada considerata soltanto per i casi più “estremi”, una cosa da fare in situazioni particolarmente stressanti dove ti ritrovi identificato almeno quanto “Scrat” (lo scoiattolo dell’Era Glaciale).
Se Scrat potesse vedere le sue stesse “sventure” come le vediamo noi (spettatori di un film) è certo che il suo cuore ne risulterebbe notevolmente sgravato e alleggerito del suo carico di apprensione/sofferenza psicologica. Il suo atteggiamento generale dinnanzi alla possibile perdita della ghianda, avrebbe un tono meno compulsivo/ossessivo, pur continuando a fare il possibile per la sua sopravvivenza, non soffrirebbe così tanto. Forse non ci farebbe più ridere così tanto, ma quello è un’altro discorso…