Uno dei miei dubbi più frequenti – un theravadin lo chiamerebbe un ostacolo/impedimento – rispetto alla pratica di meditazione è sempre stato quello della relazione tra pensiero utile/sano e consapevolezza/meditazione.
Per un occidentale “medio”, con una istruzione media, ed una intelligenza media, l’uso massiccio e prolungato delle facoltà intellettuali a scapito di altre è spesso oramai una necessità imprescindibile: necessario per studiare, necessario per lavorare, necessario per cogliere le tante opportunità che ci offre questa società sempre più tecnologica (vedi questo fantastico blog :-).
E’ naturale quindi, per questo tipo di persone tra le quali mi annovero, domandarsi come conciliare le proprie quotidiane imprescindibili attività di pianificazione, organizzazione, analisi, decisione con le esigenze, apparentemente antitetiche, della pacificazione mentale, della pratica di consapevolezza continua e della cosiddetta meditazione “in azione”.
Forse è solo un modo diverso di vedere il classico problema del rapporto tra evoluzione materiale/tecnologica ed evoluzione spirituale/umana? A livello intellettualle possiamo anche sapere che non c’è dissidio tra le due, ma poi nella realltà dei fatti quanti di noi riescono a gestire entrambe le dimensioni della vita in modo armonico, sinergico ed efficace?
In ogni caso trovo meravigliosamente chiarificatrici e illuminanti le parole, ancora una volta (si sono ripetitivo, ma questa è la mia fase Kornfieldiana 🙂 ) del nostro amico Jack, che dirime egregiamente la questione in questo capitoletto intitolato:
Il bambino, l’acqua del bagno e il pensiero abile
Nella pratica della consapevolezza il punto non è sbarazzarsi del pensiero ma imparare a vederlo in modo abile. La tradizione buddhista allena la mente pensante e l’intelletto a pensare bene e con chiarezza. Pianificare, ragionare, organizzare,immaginare e creare ci sono necessari. I pensieri ben ponderati sono un dono. I nostri pensieri possono stabilire la direzione da prendere, possono farci capire, analizzare e discernere, possono metterci in sintonia con la vita che abbiamo intorno. Quando dimoriamo in pace nel nostro cuore possiamo utilizzare la facoltà di pensiero in modo saggio, possiamo pianificare e immaginare con benevolenza.
Un professore di matematica e topografia che si era avvicinato alla meditazione era preoccupato perchè il suo lavoro implicava ore e ore di attività di pensiero. Mi chiese in che modo praticare la meditazione e allo stesso tempo pensare a fondo a quei complessi problemi matematici: doveva cercare di fare un passo indietro ed essere sempre deliberatamente conscio della sua attività di pensiero? Questo lo imbarazzava e disorientava. Risposi dandogli un’istruzione semplice: << innanzitutto verifica la motivazione. Avvicina la matematica in modo creativo e positivo. Poi, mentre pensi alla matematica, pensa soltanto alla matematica: se diventi competitivo e ti preoccupi di pubblicare il tuo teorema prima di un altro collega, quella non è matematica; se ti trovi a sognare di vincere il Nobel o un’onorificenza sul campo, quella non è matematica. Trovati una motivazione abile. Poi lavora alla matematica e goditi la creatività della mente.>>
La chiave al pensiero saggio è percepire lo stato di energia che sta dietro al pensiero. Se prestiamo attenzione notiamo che certi pensieri sono generati dalla paura e da una scarsa considerazione di sè: possono accommpagnarsi ad attaccamento, rigidità, senso di indegnità, atteggiamenti difensivi, aggressività, ansia. Ne possiamo sentire gli effetti sul cuore e sul corpo. Quando notiamo questa sofferenza possiamo rilassarci, respirare, sciogliere le identificazioni; con questa consapevolezza la mente si fa più aperta e malleabile, il che ci ferma e riporta alla nostra natura di Buddha. A questo punto possiamo lo stesso pensare, immaginare e pianificare ma a partire da uno stato di agio e di benevolenza. E’ semplicissimo.
Da “il Cuore Saggio” di Jack Kornfield