Quale che sia la tua pratica quotidiana – meditare, fare yoga, lavare i piatti o scaccolarti metodicamente il naso – l’intensità con cui ti dedichi ad essa è senz’altro il fattore che, più di ogni altro, determinerà dove andrai a parare con il tempo speso in queste pratiche.
Inutile negarlo o far finta che non sia così. Puoi passare mesi o interi anni a mimare in modo meccanico i movimenti di una forma di Tai Chi, stare seduto a etichettare pensieri manco fossi una timbratrice automatica o tenere la posizione dell’albero (zhan zhuang) per ore di fila mentre guardi l’ultima serie su Netflix. Tutto questo “mimare i movimenti” (“going through the motions” come dicono gli americani) senza un reale coinvolgimento, può portarti forse qualche beneficio a livello fisico e di salute ma per produrre dei cambiamenti su altri piani serve qualcosa di più.
E’ l’intensità’ che fa la differenza in definitiva tra una pratica che funziona e una che non funziona. La specifica tecnica (o kriya), per quanto efficace, potente e straordinaria, può fare ben poco da sola. Se non è alimentata dalla nostra energia, se non è nutrita e riscaldata abbastanza dal quel fuoco interiore che solo noi possiamo infondervi, non potrà portare i frutti per i quali è stata progettata e trasmessa a noi.
Che cosa è l’intensità nella pratica di meditazione
In musica, si definisce l’intensità come “il grado di forza di un suono, determinato dalle vibrazioni e dall’energia con cui si produce” o anche come “un particolare coinvolgimento emotivo nell’esecuzione.”
In elettrotecnica, l’intensità di una corrente elettrica è definita a volte semplicemente come “quantità di elettroni che passano per una certa sezione di conduttore in un dato periodo di tempo.”
Entrambe le definizioni si prestano abbastanza bene anche a descrivere l’intensità nel contesto delle pratiche di meditazione, di Yoga o affini. Riformulando entrambe possiamo dire che una pratica di meditazione è più o meno intensa a seconda di quanti momenti di totale coinvolgimento trascorriamo nella pratica, in un dato lasso di tempo.
L’intensità non è tanto la concentrazione, o la presenza mentale, che sono piuttosto delle conseguenze. L’intensità ha a che fare con il metterci “anima e corpo“, è il dare il 100% di quel che abbiamo e che siamo, metterci in gioco completamente come se le nostra vita dipendesse dallo svolgimento accurato e preciso di quel particolare processo che ci è stato trasmesso come pratica di risveglio, trasformazione o liberazione.
Questa intensità, se andiamo a fondo, non è altro che la caratteristica fondamentale della vita stessa. La circolazione del sangue nelle nostre vene, il battito del cuore o i processi digestivi non sono forse intensi per natura? Se non lo fossero, come potremmo respirare, digerire il cibo che ingeriamo e continuare ad abitare su questo pianeta ogni santo giorno per 24 ore non-stop, sia di giorno che di notte, nel sonno e nella veglia?
La vita è intensa di suo e non conosce altro modo di essere. Se il cuore, i polmoni o il fegato smettessero di fare il proprio lavoro con la loro consuetà intensità, per anche solo qualche minuto di “distrazione” o di “pigrizia” che cosa accadrebbe? Finiremmo di vivere, o ci ritroveremmo gravemente menomati.
Essere intensi non significa altro quindi che essere vivi, essere il più possibile come la vita stessa. E che cosa ci allontana dall’essere come la vita? Che cosa ci priva della nostra naturale intensità?
La risposta è molto semplice seppur difficile da digerire e accettare nei fatti: diamo una dannata importanza ai pensieri e alle emozioni che avvengono in noi, anzichè alla vita che avviene in noi. Tutto qui.
Praticare con un elevato livello di intensità non è mai stato facile per me, e il motivo l’ho sempre avuto sotto il naso: c’ero continuamente io di mezzo. Orde di pensieri, ricordi, conversazioni passate o future, giudizi, ansie o preoccupazioni hanno sempre avuto – tranne rare e sporadiche occasioni – come una corsia preferenziale nella mia attenzione, se non proprio un’autostrada ampissima e gratuita dove ogni singola emozione, ogni minimo pensiero si sente autorizzato a circolare liberamente o a sostare dove gli pare, anche mettendosi di traverso per occupare l’intera carreggiata.
Quindi, che fare?
Come abbassare l’intensità nella pratica [expert mode]
Una volta chiarito cosa sia l’intensità e che cosa la diluisce o inibisce, diventa più facile capire come potremmo aumentarla.
Partiamo da qualcosa che conosciamo tutti molto bene: come si rovina o si rende sciatta e inefficace una pratica? Che cosa serve per ridurre ai minimi termini il livello di coinvolgimento nella nostra meditazione quotidiana o nella nostra sessione di Yoga, Tai chi, lavaggio piatti?
La risposta mi riesce molto facile, essendo stato per anni un esperto in meditazioni e pratiche sciatte, vacue e totalmente inefficaci: per abbassare il nostro coinvolgimento nella sessione di pratica è sufficente innalzare l’importanza e il grado di significatività che diamo al filo dei nostri pensieri, uno qualsiasi dei pensieri “imbottiti” di emotività che ci passano per la testa e per il cuore.
Nel momento in cui compare un pensiero o un’emozione, e noi gli diamo corda, gli diamo credito e gli andiamo dietro di gran lena, significa che lo stiamo investendo di importanza, altrimenti non gli daremmo la nostra preziosa attenzione. Se qualcosa non ha significato per noi o non la reputiamo importante, perché dovremmo darle attenzione?
Il problema è che in questi casi stiamo attribuendo importanza a qualcosa che, in definitiva, non è reale, non è autentico, non è vita – qualcosa che riguarda probabilmente un futuro che ancora non esiste, o un passato che non c’è più. Seguiamo con trasporto delle allucinazioni frutto della nostra immaginazione “a briglie sciolte”, non coscientemente indirizzata.
Pensieri ed emozioni, possiamo considerarli davvero “autentici” ad un qualche livello? Quante volte ci è capitato di credere qualcosa con ferma convinzione, che si è rivelata poi non avere alcun fondamento? Quante volte hai passato ore a preconizzare scenari apocalittici che non si sono mai realizzati? O al contrario, hai nutrito aspettative e certezze su un roseo futuro, che si è poi palesato di tutt’altro colore?
Perché è così facile perdere l’intensità
La mente “mente”, diceva qualcuno, e se anche non dice espressamente delle bugie è uno strumento altamente fallibile. Utile senz’altro in determinate circostanze, ma fallibile e fuorviante in altre, sopratutto quando si esce dalla savana e ci si ritrova tranquillamente seduti dentro 4 mura, al calduccio e con il frigo pieno.
Ci hai fatto caso? Ci viene facilissimo dare un’enorme credito alla mente durante la pratica di meditazione-yoga-quelchevuoi. Qualunque cosa essa ci propini come proiezione interna del momento, noi ce la beviamo come qualcosa di fondamentale importanza, sicuramente più importante della pratica che dovremmo perseguire in quel dato momento. Perché?
Il motivo è che per tutta la vita, e per tutte le vite precedenti in cui ci siamo dovuti adattare ad un ambiente ostile e assicurarci la sopravvivenza, abbiamo sempre trovato in lei un valido alleato. Uno strumento molto potente di anticipazione e simulazione della realtà, che nessun altro essere vivente sul pianeta può vantare, almeno non a questo livello di sofisticazione.
Difficile dunque non dare credito, anche eccessivo e indebito, a questo incredibile super-computer che abbiamo tra le orecchie. Difficile non identificarsi con le sue proiezioni, non convincersi che siano reali, che siano magari la vita stessa. E appunto quando ci identifichiamo con tutte queste allucinazioni, e le confondiamo con la realtà, quando sediamo in qualità di pensieri, di giudizi o di emozioni e non come espressioni della vita, diventiamo inautentici, diventiamo finti.
Non siamo più vita, non siamo più intensi. Siamo delle pallide imitazioni, contraffatte, di noi stessi. Diventiamo insomma un pò come molti dei nostri profili su Facebook o Instagram. 😉
Come aumentare l’intensità ?
In questo periodo, dove la mia priorità è chiudere con successo il mandala di 40 giorni di pratica ininterrotta (2x al giorno) del Kriya dello Shambhavi Mahamudra mi interrogo spesso sul come aumentare l’intensità della mia sadhana, per trarne il massimo beneficio e velocizzare per quanto possibile il processo “iniziato” lo scorso 21 Aprile.
Nel corso del tempo ho provato diverse tecniche o espedienti per cercare di attivare un maggior coinvolgimento durante i momenti di meditazione.
- lavorare sulle circostanze esterne e ambientali: ridurre “alla fonte” le cause di distrazione e le opportunità di innesco dei processi mentali. (es. se passi la sera prima a guardare serie TV o giocare ai videogame, non puoi stupirti se la mente continuerà a tornare ripetutamente su determinate scene). Creare uno spazio e tempo congeniali alla pratica, all’interno della routine, aiuta in questo processo. Anche ritagliarsi momenti dell’anno dedicati alla sadhana, come un ritiro di uno o più giorni dove non fai altro che praticare, rientra in questa strategia
- praticare in gruppo o con un insegnante: se possibile farlo, amplifica certamente le energie e l’intensità della pratica come null’altro, ma richiede un supporto esterno che difficilmente si può avere quotidianamente, a meno che tu non viva in un ashram, nel qual caso hai tutta la mia invidia e probabilmente non avrai bisogno di leggere questo blog 😉
- immaginare di praticare al cospetto di qualcuno che ti osserva: può esser un mentore, un amico o il tuo Guru. Deve essere qualcuno a te caro, e che tu sai essere interessato alla qualità della tua meditazione quotidiana. Ti osserva attentamente e tu senti di dover render conto in qualche modo a lui della qualità della tua meditazione. Potresti voler addirittura onorare questa persona con l’intensità stessa della tua pratica, se sei un tipo devozionale.
- considerare che oggi potrebbe essere l’ultimo giorno che ti resta da vivere e praticare (possibile, anche se un pò deprimente come ipotesi, per alcuni): se sapessi che oggi è l’ultimo giorno che ti resta, che non ne avrai altri sui quali procrastinare, come cambierebbe la tua pratica?
Tutte queste strategie hanno una qualche utilità, e possono funzionare più o meno bene a seconda del contesto, in particolari fasi della vita. Non le considero però la soluzione definitiva e sostanziale al problema dell’intensità.
La soluzione definitiva è solo una, molto semplice ma non facile, ed è quella di esercitare la nostra responsabilità, momento dopo momento, di essere vita, prima che essere pensieri imbottiti di emozioni.
Se in un dato momento della tua meditazione stai dando importanza ad un pensiero/emozione anzichè al processo della vita che si manifesta nella tua pratica (respiro, AUM, mantra, asanas, movimenti), significa che hai compiuto una scelta, sottile, impercettibile – per la velocità della sua esecuzione – ma pur sempre una scelta.
Dobbiamo quindi semplicemente affermare la nostra capacità di rispondere diversamente e scegliere di non dare importanza ai pensieri e alle emozioni, o almeno dargliene molta meno di quanto ne diamo alla vita, all’essere vivi, che in sostanza è la cosa più importante, ontologicamente, esistenzialmente e praticamente parlando.
Diventare intensi, e sensibili/ricettivi verso la vita che siamo, non può essere un esercizio, una dottrina o una filosofia. Cadremmo infatti nella spirale dei tranelli e inganni della mente di cui parlavamo prima. Più siamo vita, semplicemente, più siamo intensi.
Più siamo menti, identificati con ciò che non siamo ( pensieri, emozioni), meno saremo intensi noi. E le nostre pratiche quotidiane.
E tu, quanto è intensa in genere la tua pratica di meditazione? E quanto lo sarà dopo aver letto questo post?
anche io sono un praticante (DI TAI CHI) alle primissime armi e mi rispecchio TOTALMENTE nelle tue descrizioni. Grazie per qver condiviso questi tuoi pensieri!
Grazie a te Riccardo per il commento.
In bocca al lupo con il tuo taichi!
A presto