Continuità di attenzione: come svilupparla sfruttando la mente a vantaggio della meditazione (per una volta)

Gatto aspetta che il Topo esca dalla tana Prestare attenzione con continuità a qualcosa ci riesce di solito abbastanza difficile. Ci hai fatto caso?
A meno che non sia l’ultima serie di Netflix, un bel film d’azione o una qualsiasi videominchiata su Facebook o Youtube, ovviamente. Qui infatti l’attenzione si attiva e si fissa con relativa facilità, perché tirata a forza dall’esterno, verso l’esterno, un pò come faceva Mangiafuoco con Pinocchio & C per condurli al paese dei balocchi.

Senza tutti i frizzi e lazzi con cui veniamo illusi e catturati abilmente dall’industria dell’intrattenimento,  del marketing e dei Social Network, quando si tratta della “vita vera”, del lavoro, della famiglia, della vita per strada, è molto meno facile prestare attenzione a qualcosa in modo intenzionale.

Sopratutto durante i momenti di pratica, quale che sia la tua, dove l’attenzione si dovrebbe indirizzare verso l’interno, restare semplicemente in contatto con quel che accade, con il respiro, la forma di tai chi, l’asana, o quel che è il tuo Kriya, appare spesso impresa sovraumana sia ai neofiti che ai meditatori e particanti di vecchia data. Ti ritrovi nel quadretto?

Eppure i frutti maggiori di qualsiasi pratica spirituale, ce l’hanno ripetuto un pò tutti i Guru e Maestri in tutte le salse, si raccolgono soltanto quando vi è sufficente continuità di attenzione (che per me è una conseguenza dell’intensità di cui abbiamo parlato nel precedente articolo).

Tutte le maggiori tradizioni spirituali, dal Buddhismo Theravada, a quello Tibetano, il Sufismo, la Quarta Via, il Tantra e lo Yoga, sono concordi in questo: solo una sufficente continuità di attenzione sostenuta nel tempo (quanto tempo? 24h, una settimana, un mese, un anno ? non è dato sapere finchè non ci capita 😀  ) può portare a trasformare completamente la dimensione della nostra coscienza, alla realizzazione, liberazione, nibbana o come vuoi chiamare quella roba lì che tutti rincorrono pur sapendo che non c’è nulla da rincorrer perchè tutto è già qui etc…

Nelle ultime settimane, per varie ragioni, ho fatto una “fatica porca” a mantenere la continuità di attenzione a livelli accettabili durante la mia pratica di Yoga e di meditazione quotidiana. Accettabile secondo i miei standard di “continuità” che, beninteso, saranno probabilmente diversi dai tuoi.

Ad esempio, per me in una pratica di 21 minuti, qual’è la durata dello Shambavi Mahamudra Krya, se riesco a trascorrere una media di 15 minuti prestando attenzione esclusivamente al Kryia, anzichè all’ultima psicocazzata propinata dal mio cervello rettile, mi posso ritenere soddisfatto.

Tenere  l’attenzione per il 75% del tempo su quel che accade nella pratica, e lasciare solo un 25% all’identificazione con i contenuti allucinatori secreti dal mio cervello, è decisamente un buon risultato. Dai. Almeno per uno che è fuori da un ashram e non si trova in un ritiro di meditazione intensivo , non è male. No?

Quando la quota di attenzione continua cala sotto al 25% e per il 75% del tempo troneggia la continuità di distrazione e di identificazione, posso dire tranquillamente che la qualità della mia pratica “fa acqua” da tutte le parti, nel senso letterale che è diluita da altro. Da chi?

Dalla strameledetta mente. Ovvia-mente. L’arnese che, nato ed evoluto per proteggerci, si rivolta contro di noi impedendoci di fare (o non fare) quello che è richiesto dal sadhana che abbiamo scelto.

La protagonista indiscussa dei fallimenti di migliaia di meditazioni, è sempre lei. La mente che si frappone abilmente tra te e quel che accade nel momento, propinandoti in alta risoluzione il filmone più coinvolgente, intrigante immaginabile, che al confronto Games of Thrones è una partita a scala quaranta giocata con le amiche peggiori di tua nonna (quelle che tua nonna ha già lasciato il tavolo perchè le giudicava “troppo noiose”).

Stanco e un pò frustrato da questa situazione, ho cercato e sperimentato negli ultimi 20 annetti dei modi di “ingannare la mente” e farla lavorare (visto che a lavorare lei ci tiene sempre comunque) a vantaggio della meditazione, per una volta, anzichè come sabotatrice e nemico numero uno della mia crescita personale e spirituale.

Tante domande ma un solo ingrediente segreto

Di seguito vado ad elencare quelle tattiche che, tra tutte, ho trovato essere le più efficaci nel ritrovare e mantenere la continuità di attenzione, sviluppandola oltre quella soglia che in genere mi fa vergognare e provare imbarazzo verso me stesso e la mia presunta “determinazione spirituale”.

Si tratta di domande. Nulla di più. Domande  da porre nei momenti giusti e con la giusta intenzione, a mò di “pungolo” e stimolo dell’attenzione impigrita e indolente che caratterizza un pò i nostri tempi moderni. Il loro obiettivo di fondo è semplice: quello di attivare la curiosità, che è l’ingrediente segreto per sviluppare una continuità di presenza mentale sufficente ad aprire le porte della percezione ben oltre quello “spiraglio” ( o serratura?) da cui siam soliti osservare il mondo.

NB: Lo spirito indagatore qui non è da confondere con quello riflessivo dell’intellettuale che pondera, filosofeggia e si perde in massimi sistemi (cosa di cui sono stato cintura nera per anni, per cui so bene di cosa parlo). Sono domande molto fattuali, che non richiedono di riflettere, ma semplicemente di prendere atto di come stanno le cose adesso. Senza aggiungere nulla.

Sono campanelli che ci suoniamo da soli in sostanza, per ricordarci cosa stiamo facendo e allinearci alla nostra intenzione.

Queste sono quelle che finora hanno funzionato meglio, nella mia esperienza.

Quando hai bisogno di “entrare ” nel tuo oggetto di meditazione (respiro, mantra, asana, movimento, quel che è)

Questo tipo di domande, poste con un autentico interesse e desiderio di conoscenza, mi aiutano ad intensificare l’attenzione e far sì che “attecchisca” all’oggetto di meditazione, percepito all’inizio – se noti – sempre un pò come “estraneo”, distante, freddo o scontato:

  • quanto è lungo l’inspiro rispetto all’espiro?
  • quanto dura la pausa tra i due?
  • che differenza c’è tra l’intensità del respiro nella narice destra e in quella sinistra?
  • quanto è costante il movimento dell’aria durante l’arco del respiro?
  • che effetto fa questo kriya|movimento|asana| mantra nella percezione del corpo ? (o di una parte particolare del corpo, a seconda della pratica in questione)
  • sto eseguendo correttamente il mio kriya|movimento|asana| mantra ?

Puoi trovarne altre cento, ovviamente, sono solo esempi. Questo tipo di domande, molto specifiche, hanno il potere di indirizzare l’attenzione sull’oggetto di meditazione. Per rispondere ad esse, infatti devi per forza di cose prendere atto di come stanno le cose, di quel che accade nel momento.  Atto dopo atto, un pezzo qui e un pezzo là,  il puzzle completo dell’esperienza si inizia così a comporre e manifestare in tutta la sua ricchezza e profondità crescente.

L’effetto, quando funzionano, è di riscoprire la freschezza dell’esperienza sempre viva e nuova di quel che accade, laddove prima vi era la scontatezza e il senso del “già visto” e del “sempre la solita roba”. Quella roba cambia sempre, in realtà, solo che non siamo abbastanza curiosi da andare ad esplorarla con la dovuta attenzione.

Quando ti sei già distratto almeno una volta e hai perso continuità

Dopo che ti sei già perso per strada almeno un paio di volte, prova a formulare mentalmente queste domande:

  • che cosa mi distoglierà adesso dalla pratica?
  • quale sarà il prossimo pensiero/emozione a distrarmi/catturare la mia attenzione?
  • cosa è più importante per me adesso, la mia pratica o questo pensiero/emozione?
  • voglio seguire questo pensiero/allucinazione/emozione o seguire quel che sta accadendo nella pratica/respiro/corpo?
  • è più forte il contatto con l’esperienza reale del momento, o il contatto con i miei pensieri?

Le prime due sono varianti della tecnica del “Gatto che attende il Topo fuori dalla tana” di cui parla Eckart Tolle nel suo libro  “Il Potere di Adesso”. Queste due domande hanno qualcosa di magico, nel senso che riescono a creare un corto-circuito, che blocca ogni attività compulsiva della mente come null’altro. Almeno finchè sei sotto l’influsso della domanda. Tutto di ferma. Facci caso.

Per rispondere a queste domande devi metterti in ascolto, appunto come farebbe un gatto appostato davanti alla tana del topo, in attesa di vederlo uscire fuori. Ma il topo ancora non c’è, e potrebbe non uscire mai. Tu allo stesso modo sei lì, che osservi qualcosa che ancora non c’è, ma la tua continuità di attenzione è così elevata, che i pensieri hanno paura di farsi beccare, e non si fanno vivi.

Quando sei dentro alla pratica e vuoi andare in maggior profondità

Se hai già sviluppato una certa curiosità verso il fluire delle percezioni connesse alla tua pratica, che non ti appaiono più “noiose” o “scontate” e anzi riesci a intravedere in esse la possibilità di esplorazioni sempre più “vaste”, queste sono le domande che possono darti una “spintarella” in questa direzione, consolidare la continuità di attenzione e andare più in profondità:

  • quanto in profondità posso andare adesso?
  • fin dove posso spingermi nella percezione di questo momento?

Non è frequente arrivare a questo stadio che chiamerei di “sprofondamento nella pura percezione” se non durante un ritiro o una pratica piuttosto intensa, di diverse ore di fila. Quasi mai ti capiterà di dover fare uso di queste domande durante le sessioni di pratica “brevi” di 20 o 30 minuti quotidiane, dove in genere la priorità è riuscire a stabilire quel minimo di continuità di attenzione e non perderla.

In ogni caso, non è che devi usare tutte queste domande insieme. Provane un pò, vedi quelle che funzionano meglio per te, e usa quelle. Magari te ne bastano anche un paio soltanto, come avviene nel mio caso per lo più. Magari una sola.

O magari  nessuna.

In questo caso devi però assolutamente svelarci nei commenti qui sotto come fai a attivare, mantenere e approfondire la continuità di attenzione durante la tua pratica quotidiana. Senza uso di agenti psicotropi, ovviamente, che sennò è come fare binge-watching di GOT, e non vale una cippa fritta.

7 commenti su “Continuità di attenzione: come svilupparla sfruttando la mente a vantaggio della meditazione (per una volta)”

  1. Una prima causa del non riuscire a cAlmare la mente é l’inquinamento ambientale interno (Compulsione a pensare e le abitudini alimentari) ed anche esterno (rilassarsi nel Verde di un prato O di un bosco, aiuta a distendere la mente).
    Sono riuscito solo due volte a fermare la mente: una volta giocando, con una raGazza ed una scarpa, mi sono completamente immerso nel mOmento.
    L’altra é stato quando leggendo alcuni libri del Dalai lama, nell’ultimo di questi (i sei stadi della meditazione) ho usato la frase che veniva ripetuta spesso come mantra (“la realtá esteriore é priva di autoproduzione intrinseca”) che ho ripetuto a livello di pensierO. Ad un certo puNto ho fermato la recita, ed in quel momento dopo un lampo di puro vuOto mentale, Mi sono quasi chiesto “ed ora proseguo per….o mi fermo, in quanto dovrei lasciare la mente, che fin’ora é sempRe stata la mia unica compaGna”.
    Senza farla lunga, anch’io ho completato il corso online di Sadhguru, ma non in tempo per venire a londra.
    Completandolo, però, ed anche prima, mi sono spesso reso conto che la sola osservazione del respiro é sufficiente per allinearsi.
    Molto, ripeto, fa l’alimentaziOne: fRutta e verdura, l’ideale.
    Allineandosi scatta l’inquinamento: una mente compulsiva si calma, ma non sMette di pensare. Semplicemente la si osserva.
    La recita del mantra Aum con la respirazione puó aiutare.
    Certamente, poiché Sadhguru é molto diretto e sciEntifico, ho integrato con il sito di osho, in cui la mente riesce a trovare risposte anche Meno “dure” da praticare, e piú semplici da assimilare.

    Trovi delle e-mail che ti ho inviato Inerenti al precedente articolo da te scritto, le ho inoltrate alla mail di questo blog.
    Saluti e buona pRatica.

  2. Voglio fare un’aggiunta.
    In realtá qualsiasi azione interiore o esteriore che sostenga la consapevolezza interiore é una pratica e lo diventa nel momentO in cui Esiste.
    Sadhguru ribadisce che qualsiasi pratica che non sia Praticata in modo vivo e presente, diventa solo una ripetizione che porta ad uno stato di “dullness”, di Oblio ed intontimento.
    In osho infatti nOn esistono pratiche, se non il gibberish (scarico vocale-mentale) o le danze (stile gurdjeff).
    Quindi ripetere una tecnica é utile fino a che Tale tecnica sostiene la consapevolezza, altrimenti tanto vale variare o cambiare e ritrovare la vitalitá della consapevolezza anche in altri modi.
    D’altronde la vita stessa é energia che consapevolmEnte ci diamo noi stessi, ad ogni incarnazione successiva (vedasi le tre vite di Sadhguru).
    Non dico che ripetere una tecnica sia sbagliato, ma non deve diventare una compulsione, ma una “gioia”, un avanzamento in uno stato di sentirsi bene. Allora vedendo che Ci si sente meglio, si riesce a procederE, altrimenti si arriva solo ad un picco massimo da cui poi si retrocede.
    La Mente poi si acquieta, diventa quasi silente, ma insisto che l’inquinamento aMbientale appreso come memorie e esercitato dalla e nella vita sociale, rendono una parte del percorso piú ardua. Ma così ha scelto chi ha deciso di incarnarsi in occidente, nelle condizioni minimE sufficienti per illuminarsi, ma Seppure sempre non favorevoli, per pura personale scelta.

  3. É chiaro che quello che stai facendo lo vuoi migliorare, renderlo maggiormente performante.
    La meditazione richiede fiducia nell’ambiente, nella pratica.
    La vita é pratica. Tutto é prAtica.
    Andare in meditazione con una certa tecnica significa seguire la strada che qualcuno lascia o indica, e cercare di seguirla per accelerare un processo che é giá naTuralmente Nel processo vitale ed esperienziale di ognuno, con tempi anche lunghi o distribuiti sull’arco di piú vite, se si “crede” alla reincarnazione.

    Detto questo, peró, stai chiedendo aiuto ambientale, un suppOrto dall’esterno. Ti arriva, anche solo Nella forma di questo “mio” contatto di risposta. Ma non é importante questo.
    Lo é invece il faTto che tu non riesca a notare quanti quotidiani aiuti la tua vita ti offra. Vuoi di piú? Chiedi. Chiedi a te stesso, chiedi agli altri, scrivi a sadHguru, o consulta tutto quello che puoi.
    Hai altre strade? Va bene lo stesso, ma riconosci, come diceva NietZsche, che tutto quello che non ti uccide, ti fortifica.
    Abbi fiducia nella tua vita, nella pratica che stai svolgendo.
    Mi scuso se quello che ho scRitto puó apparire abrasivo, in qualche forma, o troppo stimolante.
    Rimani aperto, sii senza limiti, visto che giá la mente ne costruIsce AUTOMATICAMENTE sempre. La mente PUÒ aiutarti, chiedi il suo aiuto. Non la abbandoni, rimane al tuo fiaNco e tu vai oltre, con lei e con il corpo.

    Ovviamente tutte le mie parole sono mentali, Ed io non sono particolarmente diverso dagli altri, solo umano come tutti, anche se Cerco di fare quello che SadHgru propone “to will, to strive for”, volere, impegnarsi per, anche se l’impegno sembra un compito, ed un compito presuppone un obiettivo, quindi una meta ed Anche un possibile fallimento.
    Niente di tutto ciò.
    To strive for vuol dire essere se stessi in Ogni azione. Non importa se non ci si conosce, Ci si conosce anche nel come si agisce o si pensa. Ma mi sto giá attorcigliando in spiegazioni a parole. BiSogna vivere usando la propria essenza, essere intensi, sempre, sia nei MoMenti di pieno, sia di vuoto che di semplicI quotidiane azioni.
    Intensitá ed essenzialitá.
    Tutto assiste ed aiuta.
    Namaskaram.

  4. Ciao Luca,
    grazie dei tuoi “generosi” commenti.

    Concordo con te che alimentazione (frutta e verdura) e fattori ambientali possono avere un grande impatto nella qualità della pratica e dell’attenzione (ne ho scritto in altri articoli ed è probabilmente un tema che richiederebbe approfondimenti in futuro)

    Per il resto, questo mio post non era una generica richiesta di aiuto o supporto esterno, ma il tentativo di condividere alcune delle “soluzioni” che ho escogitato per affrontare l’annoso problema che attanaglia molti meditators, cioè di non riuscire a sviluppare continuità di attenzione.

    Il punto quindi qui dovrebbe essere soltanto uno: le tecniche che ho suggerito le hai mai provate? Ti sono state utili in qualche modo a rendere l’attenzione più stabile e continua? Ne hai di alternative da proporre?

    Se le hai provate gradirei un riscontro puntuale e specifico, del tipo “si, la domanda X mi ha aiutato a focalizzarmi maggiormente durante la pratica Y” oppure ” ne ho provate un paio, poi mi sono accorto che per me funzionava meglio pormi un altro tipo di domanda o compiere altra azione specifica” eetc..

    Se invece non le hai nemmeno provate o considerate degne di attenzione (cosa possibilissima e che avrei fatto pure io in momenti diversi del mio percoro), e iniziamo a parlare di massimi sistemi, abbiamo un problema perchè allora ogni post potrebbe diventare, potenzialmente, il luogo di digressioni infinite sul senso della pratica, delle tecniche, della vita e tutto quanto.

    Ad esempio è possibile che, come dici, ci siano “aiuti quotidiani” che la vita ci offre per rendere la pratica più efficace di cui non ce ne rendiamo conto, ma al livello di astrazione in cui ne parli, senza esempi concreti, questa frase non aiuta me di una virgola a sviluppare maggior continuità di attenzione. E come non aiuta me, è probabile che non sia di aiuto – cosa ben più importante – alle centinaia/migliaia/milioni di persone che (mi auguro) leggeranno questo tuo commento. 🙂

    In questo spazio, per come l’ho immaginato, vorrei che ci si confrontasse su pratiche, processi e tecnologie, che possano aiutare concretamente a sviluppare consapevolezza, indebolire le compulsioni e renderci esseri umani a pieno titolo.

    Non mi interessano le filosofie, o le interpretazioni personali di quello che un tale autore (sadhguru, osho, tolle, madre teresa o chuck norris) ha detto o scritto. Voglio focalizzarmi esclusivamente sulle pratiche, la tecnologia (nel senso del tantra) sulle cose che possiamo fare, sperimentare e che hanno un impatto tangibile rispetto all’obiettivo di accrescere la consapevolezza e sciogliere le compulsioni.

    Tutto il resto è, almeno qui dentro, una totale perdita di tempo, sia per chi la scrive (anche perchè lo bannerò, probabilmente) sia per chi la legge e si aspetta di trovare stimoli pratici e concreti anzichè la solita fuffa teorica o motivazionale che si può trovare da altre parti.

    Questo lo dico non solo per Luca, nel caso specifico, ma anche per quanti vedessero in questi commenti un’opportunità per innescare discussioni sterili del tipo “sadhguru in realtà ha detto che” .. “osho invece..” “un alieno però..” etc.., oppure pipponi filosofici sul senso della vita, della pratica e altri temi dove chiunque può dire la sua e tutto procede come prima.
    Da ex-filosofo ho tolleranza zero per questo genere di cose.

    Portate pazienza e compassione. 😉

    Grazie per la comprensione e buona pratica (con o senza le tecniche da me suggerite).

    Roberto

  5. Esistono due modi in cui si puó meditare: ad occhi chiusi o aperti.

    Meditare significa semplicemente osservare, ed osservare dentro di sé ció che succede.
    Ad occhi aperti é difficile osservarsi mentre si vive, peró normalmente siamo in stazione eretta, fondamentale, poiché la schiena é un’antenna.

    Ad occhi chiusi, invece, ci si puó sedere con il tallone di un piede appoggiato al perineo, posizine che chiude alcuni stimoli (alimentari e di evacuazione) e stimola la schIena in posizione eretta. Nel qi-gong si puó anche stare in piedi, posizione del cavaliere con le gambe divaricate e ginocchia rilassate.
    Ora, la schiena deve rimanere eretta, sia in piedi o seduti, é fondamentale.
    Ad occhi chiusi si puó continuare osservando il proprio respiro, ed aiutandosi eventualmente con una mano sulla pancia, per sentire il ritmo del respiro.
    Qui inizia l’osservazione di tutto: se ci si concentra sul respiro, il pensiero si placa, e se si seguono i pensieri, si smette di seguire il respiro.
    Andare avanti a sentire il respiro puó aiutare a calmarsi, a distrndersi. Se la mente rimane compulsiva, Osservare i pensieri cosí come i suoni ambientali, che fanno parte della meditazione, osservazione.
    Personalmente abbino a questo lo spostamento della testa a croce, alto-basso, destra-sinistra, molto lento. Lento perché dovrei osservare, invece, sto imponendo un ritmo, sono meno osservatore.
    Ritengo che fare domande o inserirle possa non aiutare, in quanto osservare non é controllare.
    Questa é una prima base di meditazione.
    Per chi volesse provare, esiste il training autogeno, che aiuta ad inserire la mente ed alcune frasi ripetute (tipo mantra) a distendere il corpo e a ascoltarsi.
    Grazie per la lettura.
    Namaskaram.

  6. Grazie!
    Sono considerazioni molto interessanti ed hai elencato veramente tutte le ipotesi ed i “problemi” che deve affrontare una persona durante la meditazione.
    io ho partecipato a diversi ritiri a Pomaia (Istituto lama Tzong Khapa) di abc della meditazione, nei quali avevamo anche momenti di discussione su questo tema.
    io da parte mia ho smesso di vederla come una “Lotta”. quando sorgono i pensieri li osservo e li lascio andare come nuvole che passano nel cielo. e cerco di stare con “quello che c.È”… non ho ancora raggiunto la “continuità” dell’attenzione, ma mi sento meno in ansia. noi occidentali siamo continuamente tormentati dalla “fair to fail”… vogliamo sempre essere bravi ed ottenere successo in ciò che stiamo facendo. in realtâ penso che sia un lungo cammino e l’ansia di riuscire a tutti i costi ci blocca piuttosto che sostenerci.
    il tuo blog mi piace molto. ti ringrazio. e scusa… non so perchÈ mi scrive tutto maiuscolo, non riesco a cambiarlo…. buona giornata
    Simona

  7. Grazie Simona del tuo commento, non sai quanto piacere mi abbia fatto leggerlo.
    E’ vero che in Occidente siamo fissati con la performance e i risultati, ma non credo che questo sia necessariamente un problema. Il successo esiste nella pratica spirituale anche se in forma diversa da quella “esteriore” cui siamo abitutati. Il progresso spirituale si può misurare, e si misura in “attimi” vissuti in totale allineamento di corpo, mente ed energia. Senza questo allineamento non andiamo da nessuna parte, perchè saremo tirati in direzioni diversi dalle varie parti che vanno per conto loro. Possiamo procedere velocemente soltanto concentrando tutte le energie in una sola direzione. Questo vale per la vita interiore come per quella esteriore, cambia solo la direzione.
    Certo non è facile, richiede una volontà particolare. Ma la pratica serve proprio a questo. A creare questa volontà. Il resto verrà da sè se deve venire.

    Buona pratica e a presto
    Roberto

Lascia un commento